Vallo di Diano, truffe sui carburanti: 34 condanne a Lagonegro

Arrivano 34 condanne, una ventina le assoluzioni e l’accusa di associazione mafiosa è decaduta. Poco dopo la mezzanotte di lunedì è arrivata la sentenza da parte del Tribunale di Lagonegro sul processo partito dall’inchiesta “Febbre dell’oro nero” che ha visto scendere in campo carabinieri e Guardia di Finanza su una truffa allo Stato legato alle accise e al gasolio e che secondo il quadro investigativo faceva convergere interessi legati ai casalesi e alla criminalità organizzata nel Vallo di Diano. Lo scrive il Mattino.  Le pene più pesanti sono state comminate a un imprenditore dell’azienda usata   per “reinvestire” i soldi casalesi, proventi di spaccio ed estorsione, portati da  padre e figlio. Per il primo la condanna è stata di dieci anni, un anno in più degli altri due. Pena sospesa. Per poter reinvestire i soldi guadagnati con attività illecite – secondo le procura di Potenza e Lecce – ha “usato” le aziende di idrocarburi dell’imprenditore di Polla , che in pochi anni è passato da un bilancio quasi pari allo zero a superare i 15 milioni. Nel triangolo è arrivato poi anche il lato pugliese, la mafia tarantina il cui referente è stato condannato a tre anni. Nella rete degli inquirenti lucani 59 persone accusate a vario titolo di truffa allo stato, associazione a delinquere e altri reati. Tra loro numerosi valdianesi e anche un carabiniere “infedele” condannato a 6 anni di reclusione.  Poi altre condanne. Dalle indagini emerse la presenza nel Vallo di Diano di alcune persone legate ai casalesi che utilizzavano il carburante come cavallo di troia per “colonizzare” il comprensorio. Il carburante per uso agricolo, che beneficia di particolari agevolazioni fiscali, veniva venduto a soggetti che poi lo immettevano nel normale mercato per autotrazione, utilizzando spesso le cosiddette “pompe bianche”. Un traffico illecito che ha portato – secondo le indagini – anche guadagni annui all’organizzazione criminale di 30 milioni di euro.